Sebbene la logica dell’assegno di mantenimento sia svincolata da valutazioni meritocratiche e di rendimento, non può escludersi un’apertura in tal senso da parte di un recente filone giurisprudenziale.

In questo articolo parliamo di due figli maggiorenni e la giurisprudenza è stata sempre molto altalenante nel riconoscere o meno anche a tale fascia di età il diritto a ricevere un contributo al mantenimento, giungendo da un lato ad affermare in molte circostanze che tale diritto dovesse perdurare sino a che il figlio non fosse economicamente autosufficiente, e stabilendo in altri casi limiti approssimativi di età.

Nel caso di specie si tratta di due fratelli che, seppur studenti regolarmente iscritti all’università, non mostravano granché impegno in tale attività che frequentavano e coltivavano anzi a tempo perso.

I due ragazzi, conviventi presso la residenza del padre, ricevevano un contributo mensile al mantenimento da parte della madre la quale, separatasi ormai da anni dal proprio coniuge e residente altrove, chiedeva di poter interrompere tale corresponsione in ragione dello scarso rendimento universitario dei figli.

Mentre il Tribunale di primo grado rigettava tale domanda della madre, lo stesso non faceva la Corte d’Appello che – al contrario – la accoglieva disponendo la contestuale revoca del suddetto contributo mensile.

A tale decisione seguiva impugnazione presso la Suprema Corte di Cassazione che dichiarava ammissibile il ricorso e con pronuncia n° 1858/2016 accordava fondatezza alle ragioni della madre con le seguenti statuizioni:

“[…] i genitori hanno dato ai figli l’opportunità di frequentare l’Università, dalla quale non hanno saputo trarre profitto: M. nel 2008 risultava iscritto all’Università, Corso di Laurea di Scienze biologiche al terzo anno, e aveva superato soltanto 4 esami; (l’altro figlio), fuori corso per la quarta volta al corso di laurea in Cultura e Amministrazione dei Beni Culturali aveva superato meno della metà degli esami complessivi. […]

[…] dalle note dell’Agenzia delle Entrate emergevano redditi da lavoro dei due figli sin dal 2008.[…]”

La Corte riteneva pertanto che lo scarso rendimento universitario dei figli, uno dei quali di ben quattro anni fuori corso, potesse legittimare l’interruzione della corresponsione mensile al loro mantenimento erogata dalla madre non convivente.

Oltretutto i due figli risultavano in possesso di redditi già da diversi anni, pertanto astrattamente autosufficienti, motivo in più per accordare l’interruzione del mantenimento degli stessi, in linea con la costante giurisprudenza della Suprema Corte, ribadita anche in questa sede con le seguenti parole:

Va innanzitutto considerato che, per giurisprudenza consolidata, il dovere di mantenimento del figlio maggiorenne cessa ove il genitore onerato dia prova che il figlio abbia raggiunto l’autosufficienza economica pure quando il genitore provi che il figlio, pur posto nelle condizioni di addivenire ad un autonomia economica, non ne abbia tratto profitto, sottraendosi volontariamente allo svolgimento di una attività lavorativa adeguata e corrispondente alla professionalità acquisita”

Sebbene non possa dirsi che solo con la laurea è possibile trovare dall’oggi al domani un’occupazione lavorativa, non può neanche negarsi che un titolo simile avrebbe potuto agevolare i due fratelli ad entrare nel mondo del lavoro nel loro specifico settore di studio dal quale invece sembravano tenere le distanze non portando a termine il corso di studi.

La capacità reddituale dei due figli mostrava altresì come il contributo al mantenimento che mensilmente ricevevano non era più in linea con le logiche di aiuto e mantenimento e per questi motivi i Giudici della Suprema Corte hanno concluso per l’interruzione del mantenimento!