Inutile dire che la giurisprudenza sta facendo passi da giganti nel delineare le modalità con le quali si manifesta il reato di maltrattamenti in famiglia previsto all’articolo 572 C.p.

In questo caso, nonostante un’assoluzione in primo grado, la Corte d’Appello ha riconosciuto la penale responsabilità dell’imputato, confermata in Cassazione.

Leggiamo come si sono svolti i fatti…

Il caso riguardava maltrattamenti commessi da un marito nei confronti della moglie e reiterati durante l’intero arco matrimoniale e perdurati anche dopo la comunicazione da parte della donna della sua decisione di separarsi dall’uomo.

E’ bene ricordare preliminarmente che il reato di maltrattamenti rappresenta un reato abituale pertanto ci troveremo di fronte a questo delitto solo quando gli episodi di maltrattamento sono più di uno, in caso contrario si tratterà solo di un singolo reato di ingiurie, minacce, lesioni o percosse punibile a sé stante.

Il Tribunale di primo grado emetteva pronuncia di assoluzione in quanto accoglieva la tesi difensiva che aveva sottolineato come gli episodi avvenuti, essendo intercorsi in modo sporadico e durante l’intera vita matrimoniale della coppia, non avessero integrato il reato di cui all’articolo 572 C.p.

In seguito a ciò, tale pronuncia veniva impugnata dal Pubblico Ministero e nel conseguente giudizio innanzi la Corte d’Appello venivano riesaminati i fatti e il merito del giudizio precedente. In tale sede si rafforzava la convinzione dell’assoluta credibilità dei fatti narrati dalla moglie e veniva dato maggior peso probatorio anche alle parole del figlio della coppia che riferiva di un clima familiare ove la madre veniva costantemente svalutata e umiliata anche se gli episodi di violenza erano sporadici.

La Corte d’Appello, riesaminando il merito, invertiva la rotta rispetto alla pronuncia precedente e riconosceva la penale responsabilità dell’uomo in ordine al reato di maltrattamenti, giungendo ad una conclusione di condanna anziché di assoluzione.

La difesa dell’imputato proponeva quindi ricorso per Cassazione sostenendo una carenza di giustificazione nella decisione della Corte d’Appello unitamente ad un’omessa analisi dell’attendibilità delle testimonianze della moglie e del figlio.

I Giudici della Suprema Corte, con pronuncia n° 47209 del 27 ottobre 2015, rigettavano il ricorso confermando così la condanna dell’uomo e si pronunciavano stabilendo un pieno riconoscimento del reato di maltrattamenti anche se questi son durati tutta la vita matrimoniale, per quanto tollerati dalla vittima o sporadici.

Inoltre la Corte ha affermato che:

“Sul punto giova evidenziare che il carattere di abitualità del delitto di maltrattamenti non richiede lo svolgimento della condotta maltrattante per un periodo minimo, al di sotto del quale la sussistenza del reato debba necessariamente escludersi, ma può ravvisarsi tutte le volte in cui atteggiamenti prevaricatori, svalutanti o violenti si susseguano e risultino connessi alla concreta volontà di mortificazione dell’autonoma valutazione del componente del nucleo familiare, situazione che nella specie risulta non negabile alla luce sia del complessivo atteggiamento tenuto nei confronti della moglie nell’arco della vita matrimoniale, che da quanto risultante dichiarato dalla donna ed accertato in fatto dallo stesso giudice di primo grado che ha sostenuto la decisione assolutoria sulla base di una determinazione di non abitualità superata in maniera argomentata e conforme ai principi applicativi della giurisprudenza di questa Corte sul punto dalla Corte territoriale”.

Pertanto, ricollegandoci a quanto detto sopra in merito al carattere di abitualità del delitto di maltrattamenti, possiamo affermare che non vi è un periodo minimo o massimo di svolgimento dei maltrattamenti potendo esservi reato anche se commessi durante l’intera vita matrimoniale e potendone desumere la sussistenza anche dalle dichiarazioni della vittima e degli altri familiari conviventi.

Difatti un clima di sopraffazione e umiliazione può esser percepito da parte dei familiari anche se non hanno assistito materialmente alla commissione degli stessi e una testimonianza in tal senso può esser valutata ugualmente in modo favorevole ai fini del riconoscimento del reato.