Il caso: una donna denuncia un uomo per abbandono di animale ma il GUP ne esclude la responsabilità penale in quanto si è in presenza di un “diverso modo di accudire l’animale”. Tuttavia la salute del micio peggiora e la donna, grande amante dei gatti, di sua iniziativa lo fa curare per poi affidarlo ad un’altra famiglia. Viene quindi denunciata per furto. Il responso? È assolta dal reato per la particolare tenuità del fatto dato che ricorrono tutte le connotazioni previste dall’art. 131 bis c.c.p.: esiguità del danno rilevante dal reato, movente “animalista” e non patrimoniale ed occasionalità del comportamento.
È una sentenza interessante quella depositata dalla Prima Sezione Penale del Tribunale di Roma il 7/7/2016: si è ritenuto che rubare un gatto integrasse il reato di furto, anche se nel caso di specie risultano mancare alcuni requisiti fondamentali.
Vediamo in dettaglio cos’è successo. Un uomo possiede un gatto che ad un certo punto dice di non poter più tenere in casa a causa di una forte allergia sviluppata dalla moglie ai peli dell’animale. Allora lo colloca in un angolo recintato del giardino condominiale attiguo e continua a nutrirlo porgendogli il cibo attraverso le sbarre. Un giorno incontra una donna che lo accusa di aver abbandonato l’animale e gli comunica la sua intenzione di portare il micio dal veterinario perché ferito. Si scambiano i numeri di telefono e si accordano per andare insieme il giorno seguente in clinica.
Ma l’indomani l’uomo non trova più il suo gatto e telefonando alla donna scopre che questa l’ha portato da sola a far medicare.
Da quel giorno non ha saputo più nulla dell’animale e nonostante le numerose richieste di restituirlo, la donna ha avanzato scuse cercando intanto di convincerlo ad affidarlo ad un’altra famiglia.
La versione della donna è un po’ diversa. Questa abita nel condominio attiguo all’uomo e un giorno viene attratta da un miagolio proveniente da un angolo del suo cortile, dove trova un bellissimo gatto bianco. Non sapendo di chi sia, dato che non ha microchip, collarino o medaglietta, decide di nutrirlo e fargli compagnia durante la giornata. Dopo qualche tempo nota un uomo intento ad accarezzare l’animale, di cui si dichiara proprietario.
Questo racconta di non poter più tenere il micio in casa poiché, essendo malato di diabete, la moglie non lo vuole più, ma di aver intenzione di continuare ad accudirlo, anche se non nel proprio appartamento. Dato che le condizioni di salute dell’animale peggiorano, la donna decide di portarlo in una clinica veterinaria per stabilizzarlo e collocarlo poi presso un’altra famiglia per assicurargli una sopravvivenza più degna, avendo peraltro il gatto bisogno di quotidiane iniezioni di insulina.
Si tratta quindi di furto? L’art. 624 c.p. definisce il furto come “l’impossessarsi della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri”.
“Anche se analizzando il fatto concreto si potrebbe astrattamente giungere ad una contestazione di furto, è davvero difficile riscontrare il fine del trarre profitto”.
Queste le parole dei giudici di Roma. La donna in effetti ha sottratto il gatto senza voler conseguire un vantaggio: l’ha affidato ad una famiglia che se ne prendesse cura, non l’ha venduto per ricavarne un profitto né l’ha tenuto con sé traendone eventualmente un profitto psichico di godimento. Non c’è dolo specifico quindi.
E si può parlare di “possesso” del gatto da parte dell’uomo?
L’animale non aveva microchip o collare ed era in una parte del giardino condominiale in cui l’uomo non aveva libero accesso (non essendo del suo condominio) e doveva porgergli il cibo attraverso le sbarre. Inoltre lo stesso Tribunale di Roma, nel richiamare la sentenza del GUP in cui l’uomo era stato precedentemente assolto dal reato di abbandono, ritiene di non condividerla. E quindi si deduce che a suo parere l’animale fosse stato abbandonato. Come può quindi un animale abbandonato essere oggetto di furto, non essendo di nessuno?
La donna è stata assolta per la tenuitò del fatto, ma quello che emerge è che in realtà il reato non sussisteva proprio, mancando sia il possesso che il dolo specifico.