Ingiusta detenzione? No all’indennizzo se si frequentano “cattive compagnie”
Lo ha stabilito la Cassazione con sentenza 4723 del 31 gennaio scorso.
Ha diritto a ricevere una somma di denaro a titolo di indennizzo per ingiusta detenzione colui che ha subito un periodo carcerario e al termine del processo è stato assolto con una delle seguenti formule:
– Perché il fatto non sussiste
– Per non aver commesso il fatto
– Perché il fatto non costituisce reato
Tuttavia la Legge sottolinea che non ha diritto all’indennizzo chi versa nella predetta situazione se ha dato causa alla sua carcerazione per dolo o colpa grave.
I Giudici della Suprema Corte hanno appunto stabilito che la frequentazione di “cattive compagnie” è una di quelle situazioni di colpa grave che non permettono di accedere all’indennizzo per ingiusta detenzione, proprio perchè per tale motivo la detenzione subita non appare più come ingiusta.
Ma cos’è successo nel caso di specie? Quali sono state le cattive compagnie che l’Imputato avrebbe frequentato?
Presto detto! L’Imputato aveva assidue frequentazioni, documentate da immagini e intercettazioni telefoniche, con un soggetto “notoriamente vicino, se non proprio affiliato, ad un clan mafioso e dedito al traffico di stupefacenti e alla commissione di reati inerenti armi da fuoco”, una delle quali è stato il motivo che ha portato al processo a suo carico.
Questa frequentazione, proprio perché legata ai problemi giudiziari dell’Imputato, hanno qualificato il suo comportamento come colpa grave e partecipazione alle cause che hanno dato il via alle indagini perché, se non avesse frequentato il presunto mafioso, non sarebbe stato trovato in possesso di armi e non sarebbe stato arrestato, sebbene al termine del processo sia stato assolto dall’imputazione a suo carico.
Tuttavia, la frequentazione precedente e susseguente al processo ha legittimato il diniego dell’indennizzo da parte della Corte d’Appello chiamata a decidere a riguardo e la Suprema Corte ha confermato questa decisione e si è espressa in modo chiaro:
“Per tali ragioni si deve ritenere l’ordinanza impugnata del tutto aderente al principio più volte espresso da questa Corte di legittimità per cui la condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, rappresentata dall’avere il richiedente dato causa all’ingiusta detenzione, può essere integrata anche da comportamenti extraprocessuali gravemente colposi quali le frequentazioni ambigue con soggetti gravati da specifici precedenti penali o coinvolti in traffici illeciti, purché il giudice della riparazione fornisca adeguata motivazione della loro oggettiva idoneità ad essere interpretate come indizi di complicità, in rapporto al tipo e alla qualità dei collegamenti con tali persone”.