Come stabilito recentemente dalla Corte di Cassazione con sentenza n° 24895/2015, toccamenti a sfondo sessuale integrano il delitto di violenza sessuale, previsto all’articolo 609bis del Codice Penale che al primo comma recita così:

Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.

Difatti il bene tutelato da questa disposizione consiste nella libertà di autodeterminazione della propria sfera sessuale e si ravvisa una violenza sessuale ogni volta che tale sfera viene invasa o lesa.

Tale concezione è figlia della riforma dei reati sessuali avvenuta con la Legge n° 66 del 1996. Prima non vi era la figura della violenza sessuale bensì le figure distinte di violenza carnale e di atti di libidine violenti. Tuttavia queste fattispecie di reato non riuscivano a portare tutela in tutte quelle situazioni ove mancava un atto sessuale vero e proprio.

Però neanche la nozione di violenza sessuale è andata esente da critiche in ragione della sua indeterminatezza. Soprattutto nei primi momenti successivi alla sua introduzione non era possibile riconoscere un significato univoco di tale espressione e c’era il rischio di giungere a condanne in situazioni incerte.

La giurisprudenza ha compiuto negli anni un lungo cammino definitorio giungendo a ricomprendere nei fatti punibili dalla norma solo quelle condotte concretamente lesive della libertà di autodeterminazione sessuale della vittima giungendo da un lato ad un tutela anche di quelle situazioni ove la mancanza di un atto sessuale portava a concludere per la mancanza di una lesione, e dall’altro ad una delimitazione dell’indeterminatezza della violenza sessuale.

Difatti, negli spregevoli casi in cui la vittima subisce una costrizione e un atto sessuale è chiaro che si tratti di una violenza sessuale, ma in casi ove la condotta si manifesti in palpeggiamenti o toccamenti anche di zone non genitali non è agevole distinguere se si tratti del reato di violenza sessuale o di quello di molestie.

Diverse sentenza hanno riconosciuto lo status di violenza sessuale anche alle condotte di palpeggiamento di piedi o mani laddove tale atto portasse all’eccitamento dell’autore di tali toccamenti, e celebre è stato il cambio di rotta in tema di violenza sessuale e pantaloni jeans ove in un primo momento si sosteneva che tale indumento fosse tale da non consentire un atto sessuale senza un’azione consensuale della donna che lo togliesse, mentre in un secondo momento si è giunti – giustamente – ad affermare che anche in tali casi fosse possibile una violenza senza consenso.

Nel caso di specie la Corte si interrogava sulla natura di violenza sessuale o di molestie circa la condotta di un titolare di un’impresa che, bloccandone i movimenti, palpava seni e glutei della propria lavoratrice dipendente e le proferiva parole a contenuto sessuale, lasciandole addirittura un biglietto con frasi del genere.

I Giudici hanno ritenuto che in un simile caso non vi fossero semplici molestie in quanto i contenuti sessuali non venivano solo proferiti ma anche attuati, benché la donna fosse sempre rimasta vestita e non avesse subito atti di penetrazione. La libertà di autodeterminazione della vittima veniva visibilmente compromessa da un simile comportamento posto in essere volontariamente, e l’unione della condotta conforme alla fattispecie di reato unitamente alla presenza del dolo non poteva che portare i Giudici della Suprema Corte alla conferma della condanna per il reato di violenza sessuale.