Il diritto al mantenimento presenta tra i requisiti per la sua concessione la condizione di non autosufficiente del figlio. Tale condizione viene meno se il figlio ha un lavoro stabile anche se con una retribuzione che non gli permette di essere totalmente indipendente.

Il caso di specie vedeva una coppia divorziata ed un figlio convivente con la madre con l’obbligo di contribuzione a titolo di mantenimento a carico del padre per la somma mensile a favore del figlio di 270 euro.

Il padre proponeva appello contro la sentenza di divorzio chiedendo la riduzione della somma di mantenimento in ragione della presenza di un lavoro stabile del figlio e così la Corte d’Appello riduceva la suddetta somma a 200 euro, dimezzando altresì il contributo a favore dell’ex moglie che passava da 300 a 150 euro mensili.

Madre e figlio difatti convivevano e potevano dividere le spese e coprire le incombenze economiche coni loro redditi, seppur bassi, unitamente alla contribuzione mensile dell’uomo.

Ne seguiva, tuttavia, ricorso per cassazione da parte dell’uomo e la Suprema Corte, con ordinanza n° 9365 del 19 febbraio 2016, riteneva il ricorso parzialmente fondato:

“[…] Il ricorso è parzialmente fondato per ciò che concerne la decisione della Corte di appello relativa alla persistenza dell’obbligo di contribuzione al mantenimento del figlio maggiorenne che non si giustifica in ragione del pluriennale inserimento dello stesso nel mondo del lavoro attestato dalla Corte di appello che però ha smentito l’acquisizione di una condizione di autosufficienza senza una motivazione, se non di carattere meramente assertivo, sul punto. […]”

Pertanto, secondo la suddetta ordinanza, il fatto che il figlio maggiorenne, seppur ancora convivente con almeno uno dei genitori e non del tutto autosufficiente, abbia una posizione lavorativa pressoché stabile da diversi anni giustifica il venir meno del mantenimento da parte del genitore.