L’istituto dell’Amministrazione di Sostegno, introdotto con Legge 6/2004 che, citando l’art. 1 della predetta disposizione legislativa, si pone l’obiettivo di “tutelare … le persone prive in tutto o in parte di autonomia, con la minore limitazione possibile della capacità di agire”.

Recentemente, con pronuncia n° 7974 del 2016, la Suprema Corte si è interrogata sulla responsabilità penale dell’Amministratore di Sostegno nel caso di uno stato di abbandono e trascuratezza dell’anziano amministrato.

Il Tribunale di primo grado si era pronunciato con sentenza di non luogo a procedere nei confronti dell’Amministratore con la motivazione che il fatto non costituisce reato.

La fattispecie contestata era quella di abbandono di persone minori o incapaci prevista all’articolo 591 del Codice Penale che, al primo comma, così recita:

“Chiunque abbandona una persona minore degli anni quattordici, ovvero una persona incapace, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia, o per altra causa, di provvedere a se stessa, e della quale abbia la custodia o debba avere cura, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.”

E’ utile rappresentare al lettore che il citato articolo è una delle pochi disposizioni che espressamente fanno riferimento alla vecchiaia.

La circostanza di fatto che ha portato all’instaurazione di un procedimento penale è stato il ritrovamento da parte di vigili del fuoco e personale del 118 di una donna in pessime condizioni igieniche ed in evidente stato di trascuratezza, senza cibo e bevande e totalmente disorientata e disidratata.

La contestata responsabilità dell’Amministratore era conseguente ad un difetto di diligenza e prudenza non avendo egli predisposto i necessari accorgimenti di assistenza e cura dell’anziana, essendosi dovuto rendere conto dell’incapacità del figlio di costei e della badante di far fronte alle quotidiane esigenze.

L’Amministratore ribatteva di non aver mai constato una situazione di pericolo dell’incolumità individuale della signora, supportato dalla dichiarazione del pronto soccorso in ordine all’assenza di qualsivoglia patologia.

Inoltre, poiché l’Amministratore di Sostegno deve – a norma di legge – assecondare per quanto possibile le richieste dell’Amministrato e, nel caso di specie, la donna aveva richiesto di poter continuare a vivere nella sua abitazione, egli non aveva messo in atto soluzioni di vita alternative per lei.

La Suprema Corte allora, nella predetta pronuncia, ha in un primo momento analizzato la fattispecie di reato dell’abbandono di persone minori o incapaci indicando come tale norma non miri a tutelare un generale obbligo di assistenza bensì il valore etico-sociale della sicurezza della persona fisica contro situazioni di pericolo.

Tuttavia non viene ad esistere la figura di reato con una qualsiasi azione od omissione ma deve sussistere un dovere giuridico di attivarsi per prevenire queste situazioni ossia dev’essere una posizione di garanzia che obblighi un soggetto a doversi attivare in tal senso.

Pertanto la domanda fondamentale è: l’Amministratore di Sostegno riveste una posizione di garanzia nei confronti dell’Amministrato tale da imporgli di attivarsi anche per le situazioni riguardanti la salute di quest’ultimo?

La Suprema Corte ha risposto in senso negativo!

Difatti il principio di diritto affermato in questa circostanza è che l’Amministratore di Sostegno ha il dovere di assistere il beneficiario nella gestione degli interessi patrimoniali e non ha doveri inerenti la cura della persona!

La Corte si è espressa nei seguenti termini:

“[…] emerge che, pur avendo un dovere di relazionare periodicamente (secondo la cadenza temporale stabilita dal giudice) sull’attività svolta e sulle condizioni di vita personale e sociale del beneficiario, il compito dell’amministratore di sostegno resta fondamentalmente quello di assistere la persona nella gestione dei propri interessi patrimoniali e non anche la “cura della persona”, poiché l’art. 357 cod. civ., che indica tale funzione a proposito del tutore, non rientra tra le disposizione richiamare dell’art. 411 tra le “norme applicabili all’amministrazione di sostegno”.

“Ciò significa che, in mancanza di apposite previsioni nel decreto di nomina (che nella prospettiva di particolare duttilità dell’istituto, definisce in concreto i poteri e dunque anche gli obblighi dell’amministratore, individuando, in relazione alla specificità della situazione e delle esigenze del soggetto amministrato, gli atti che l’amministratore ha il potere di compiere in nome e per conto di quest’ultimo e quelli che può compiere solo con l’assistenza dell’amministratore), l’amministratore di sostegno non assume una posizione di garanzia rispetto ai beni della vita e dell’incolumità individuale del soggetto incapace”.

La Corte ha pertanto chiarito che i compiti dell’Amministratore di Sostegno si limitano ad un’assistenza di stampo patrimoniale mentre, per ciò che attiene alle esigenze quotidiane del beneficiario, è opportuno seguire i desideri e le aspirazioni di costui e nel caso di specie la donna desiderava proseguire la propria permanenza nella sua abitazione e, oltretutto, non viveva sola bensì con figlio e badante…

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