Ha trovato conferma in sede di Suprema Corte la condanna di una coppia per l’aver fatto mancare mezzi di sussistenza alla prole.

Una condanna ai sensi dell’articolo 570 del Codice Penale che al secondo comma stabilisce che:

“Chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla potestà dei genitori, o alla qualità di coniuge, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da lire duecentomila a due milioni.

Le dette pene si applicano congiuntamente a chi:

1) malversa o dilapida i beni del figlio minore o del pupillo o del coniuge;

2) fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa.”

Nel caso di specie, a seguito di separazione fra coniugi, la figlia minore veniva collocata presso i nonni e i genitori si disinteressavano completamente di lei e non provvedevano a contribuire economicamente al suo mantenimento, lasciando tutti i costi e la gestione a carico degli affidatari.

Le situazioni patrimoniali dei genitori erano sicuramente particolari poiché da un lato la madre pur avendo negli anni lavori precari o a bassa retribuzione giungeva comunque a permettersi di versare una caparra di 30mila euro per l’acquisto di un immobile e dall’altro lato la situazione lavorativa del padre mostrava negli anni una serie di occupazioni saltuarie e una prestazione lavorativa gratuita a favore dell’attività della nuova compagna.

Da queste situazioni patrimoniali emergeva che i due genitori sicuramente non presentavano una capacità economica florida ma non si trovavano sicuramente in uno stato di fortissima indigenza tale da non poter contribuire in alcun modo alle spese inerenti la crescita della loro figlia minore.

La Corte ha infatti affermato che si presume che un minore si trovi sempre in uno stato di bisogno che necessiti una contribuzione economica da parte ei genitori, a maggior ragione se di piccola età.

E allo stesso tempo la mancanza di una stabile occupazione lavorativa non è indice di una totale mancanza di reddito, ben potendo una persona aver accantonato negli anni una discreta possibilità economica, come peraltro aveva fatto la donna che si è potuta permettere il versamento di una caparra di migliaia di euro.

“Secondo il costante orientamento di questa Corte, cui le sentenze di merito si sono puntualmente attenute, lo stato di bisogno della minore è presunto e sullo stesso non incide, rispetto agli obblighi di sostentamento gravanti sui due ricorrenti, l’intervento in surroga posto in essere da terzi.

Ne è determinante al fine lo stato di disoccupazione rivendicato dalle difese dei ricorrenti ove tanto non costituisce la causa di un comprovato stato di indigenza, questo si decisivo rispetto alla possibilità di garantire alla minore il sostentamento, effettivo motivo della impossibilità a provvedere e causa ostativa della responsabilità penale sanzionata per la condotta di cui all’art. 570 c.p., comma 2, n. 2.”

La Suprema Corte, con sentenza n° 4482 depositata lo scorso 5 febbraio, si è posta in linea con le precedenti statuizioni territoriali in quanto lo stato di indigenza dovuto a mancanza di stabile occupazione lavorativa che la copia aveva addotto a giustificazione del mancato contributo economico alla figlia non trovavano adeguato riscontro nella loro storica situazione patrimoniale.

Anzi, proprio le determinazioni economiche dei due coniugi nel corso degli anni erano indice di un totale disinteresse nei confronti della prole e di una grave trascuratezza da parte dei genitori, una chiara violazione degli obblighi di assistenza!