Il caso? Una donna aveva versato del disinfettante, nello specifico creolina, nel cortile condominiale per far fronte al tremendo odore emanato dai residui lasciati dal gatto dei vicini ma l’effetto è andato ben oltre perché poco dopo i vicini hanno iniziato a sentire un forte fastidio alla gola e agli occhi.La donna è stata allora indagata per il reato di “getto pericoloso di cose” previsto dall’articolo 674 del Codice Penale che prevede che:

Chiunque getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti, è punito con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda fino a duecentosei euro“.

In questo frangente la donna ha invocato a propria difesa di non aver superato la soglia della “normale tollerabilità” ma la Suprema Corte ha ribadito che in questo ambito rileva una regola più stringente, quella della “stretta tollerabilità”.

Nel caso di specie infatti non si trattava di emissioni di odori bensì di esalazioni di sostanze allo stato gassoso o vaporizzato che a contatto con occhi e gola provocavano fastidio e irritazione.

La condotta della donna è stata precisamente riassunta dai Giudici della Suprema Corte:

Secondo quanto accertato nel corso dell’istruttoria di primo grado, l’imputata aveva versato della creolina, prodotto chimico utilizzato per disinfettare e dalla elevata tossicità, nel cortile condominiale allo scopo di eliminare gli odori e ogni altro residuo organico riconducibili al gatto delle persone offese; e, per effetto di tale utilizzo, queste ultime avevano patito un forte fastidio agli occhi e alla gola.

Dunque, secondo quanto ritenuto nella sentenza impugnata, la condotta appena descritta ha determinato la diffusione nello spazio condominiale di gas o vapori della accertata capacità offensiva o comunque molestatrice, secondo una modalità operativa che appare chiaramente riconducibile al paradigma normativo“.

Con queste parole la Corte di Cassazione, con pronuncia n° 46149 del 3 novembre 2016, ha confermato la condanna nei confronti della donna che si è dimostrata fin troppo “caustica” nelle sue azioni varcando i limiti della tollerabilità.