Youtube è uno strumento entrato ormai nella nostra quotidianità ma, come tutti i mezzi di comunicazione, può diventare un mezzo per commettere un reato.
Nel caso di specie una ragazza veniva ricattata da un ragazzo con più anni di lei di mettere su YouTube un video in cui lei si mostrava senza levi e in pose oscene se ella non avesse voluto intrattenere contatti con lui.
Dopo aver minacciato la ragazza, il ragazzo procedeva ugualmente alla pubblicazione del video e veniva indagato e condannato per il reato di violenza privata.
Tale reato, previsto all’articolo 610 del nostro Codice Penale recita così:
“Chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni.”
La questione è giunta sino alla Suprema Corte di Cassazione che si è espressa conn pronuncia n° 40356/15, ove ha riconosciuto la sussistenza del reato di violenza privata in ragione dell’evidente lesione della libertà di autodeterminazione della vittima la quale veniva costretta a mantenere rapporti con l’autore del reato a mezzo di minacce che poi si son concretizzate.
La Corte ha altresì delineato gli elementi costitutivi del reato di violenza privata ribadendo come lo stesso si realizzi nella condotta di colui che costringa un’altra persona a compiere un determinato atto o a subirne un altro e che tale costrizione si concretizzi nel momento stesso in cui la vittima porta a compimento quanto richiesto.
Le parole usate dai Giudici di Cassazione son state le seguenti:
“…il delitto di violenza privata si consuma ogni qual volta l’autore con la violenza o con la minaccia lede il diritto del soggetto di autodeterminarsi liberamente, costringendolo a fare, tollerare od omettere qualcosa.
Al contrario della minaccia che ha natura formale, la violenza privata è un reato di danno, nel quale la condotta sanzionata si realizza con la coartazione della volontà altrui e l’evento lesivo si concretizza nel comportamento coartato di colui che l’ha subita”
E in questo caso vi era una palese costrizione poiché il ragazzo, e ciò veniva provato dando lettura in udienza delle mail inviate, mostrava un atteggiamento minatorio ed insistente tant’è che prospettava alla ragazza la pubblicazione dei video osceni anche solo se non riceveva risposta ai messaggi.
Il ragazzo, come secondo motivo di ricorso per Cassazione, sosteneva di non aver creato un reale nocumento alla vittima a seguito della pubblicazione concreta del video su YouTube poiché non aveva immesso criteri di ricerca del video stesso, rendendolo pertanto non accessibile alla totalità degli utenti.
Tale tesi, tuttavia, non trovava fondamento e accoglimento poiché dalla ricostruzione giudiziale dei fatti emergeva che il ragazzo, conscio di tale limitazione, minacciava la ragazza di pubblicare il video anche su Facebook in modo che giungesse anche alla vista dei conoscenti della vittima; tale nocumento veniva ritenuto integrante la fattispecie prevista dall’articolo 167 del Codice della Privacy che punisce con la reclusione chiunque violi la privacy di una persona al fine di trarne un profitto o arrecare un danno.
L’articolo 167 punisce la violazione del diritto alla riservatezza se dal fatto compiuto deriva un nocumento per la persona offesa e la tesi difensiva del ragazzo sosteneva appunto che tale condotta non avesse arrecato alcuna lesione al diritto alla riservatezza dell’immagine della ragazza.
Tale tesi è stata smentita dai Giudici di Cassazione con le seguenti parole:
“E’ stato precisato altresì che il concetto di nocumento è ben più ampio di quello di danno, volendo esso abbracciare qualsiasi effetto pregiudizievole che possa conseguire alla arbitraria condotta invasiva altrui. […] Ora, nel caso di specie, la Corte d’Appello dall’avvenuto inserimento nel circuito YouTube del video ha desunto l’esistenza del nocumento consistente nella lesione del diritto alla riservatezza dell’immagine: trattasi di tipico accertamento in fatto, in questa sede insindacabile, rilevandosi che la censura del ricorrente si risolve ancora una volta in una critica di tipo fattuale laddove tende a sostenere l’inaccessibilità al file da parte degli utenti, circostanza peraltro indimostrata ed anzi esclusa dai giudici di merito”.
Alla luce di come abbiamo visto esprimersi la Suprema Corte è chiaro come gli strumenti informativi ed il mondo virtuale possa esser usato in modo non solo improprio ma anche criminale, è quindi consigliabile rivolgersi alle Forze dell’Ordine non appena ci si accorge di essere vittime di minacce, ricatti, estorsioni o violenze anche online!