Almeno di nome tutti conosciamo i Testimoni di Geova per l’opera di predicazione che svolgono: con la distribuzione del periodico “La Torre di Guardia” e la diffusione del loro messaggio di porta in porta vogliono portare la Verità nel mondo. Ma non tutti sono bendisposti nei loro confronti, tanto da affiggere sull’uscio cartelli con scritto “no ai Testimoni di Geova”. Può quindi la conversione a tale credo da parte di uno dei coniugi essere una ragione sufficiente per giustificargli l’addebito della separazione? No, configurandosi la libertà religiosa di ciascuno come un diritto costituzionalmente riconosciuto.
Vediamo il caso in questione. Una coppia si separa ed in entrambi i gradi di giudizio viene rigettata la domanda di addebito di separazione proposta nei confronti del marito e disposto l’affidamento condiviso dei figli nonostante la richiesta di affido esclusivo avanzata dalla donna. Quest’ultima allora ricorre per Cassazione, adducendo come motivo di impugnazione della sentenza l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio: a) la conversione del marito ai Testimoni di Geova b) il disconoscimento dei valori accettati e trasmessi ai figli fino a quel momento; c) l’adesione a valori inconciliabili con quelli propri del cattolicesimo, accettati con il matrimonio concordatario e coincidenti con quelli costituzionali.
Gli ermellini rigettano il ricorso ribadendo che “…il mutamento di fede religiosa di uno dei coniugi e la conseguente partecipazione dello stesso alle pratiche collettive del nuovo culto, configurandosi come esercizio dei diritti garantiti dall’art. 19 Cost, non possono rappresentare, in quanto tali, ragioni sufficienti a giustificare la pronuncia di addebito della separazione, a meno che l’adesione al nuovo credo religioso non si traduca in comportamenti incompatibili con i concorrenti doveri di coniuge e di genitore previsti dagli artt. 143 e 147 cod. civ., determinando una situazione di improseguibilità della convivenza o di grave pregiudizio per l’interesse della prole”. E non è questo il caso.
La Corte ha ritenuto non provato che le affermazioni di principio contenute nei testi ufficiali dei Testimoni di Geova, citati dalla donna come espressioni di una concezione della vita e della famiglia diversa da quella cattolica fino a quel momento praticata dal marito, lo avessero indotto all’assunzione di comportamenti contrari ai doveri coniugali o genitoriali. Inoltre non ha nessun rilievo l’inadempimento dell’impegno assunto con il matrimonio religioso a conformare l’indirizzo della vita familiare e l’educazione dei figli alla religione cattolica: nonostante il riconoscimento dei suoi effetti civili dovuti all’adozione dei rito concordatario, il matrimonio religioso esplica la sua efficacia solamente nell’ambito dell’ordinamento morale cattolico e canonico, restando estraneo alla disciplina civilistica del vincolo.
Per analoghe ragioni bisogna escludere che la scelta di culto compiuta dal marito possa costituire di per sé una ragione sufficiente a giustificare l’affidamento esclusivo dei figli alla madre, essendo stato accertato tramite le relazioni trasmesse dal Consultorio familiare che entrambi i genitori, a prescindere dalla diversa fede religiosa, risultano effettivamente legati ai figli ed in grado di accudirli nella quotidianità. Ricordiamo che in tema di affidamento di figli minori la Suprema Corte ribadisce costantemente che il criterio fondamentale al quale bisogna attenersi è “l’esclusivo interesse morale e materiale della prole, che impone di privilegiare la soluzione più idonea a ridurre al massimo i danni causati dal disgregamento del nucleo familiare e ad assicurare il miglior sviluppo della personalità del minore”. Quindi, in mancanza di qualsiasi elemento da cui desumere la violazione dei doveri inerenti alla responsabilità genitoriale o l’assunzione di condotte pregiudizievoli per i figli da parte del padre, non trovano giustificazione provvedimenti restrittivi che portino ad un’interruzione o ad una grave limitazione nella frequentazione dato che, incidendo sul rapporto affettivo genitore-figli ed impedendo a questo di svolgere la sua funzione, si porrebbero in contrasto con il diritto dei minori a conservare un rapporto equilibrato con entrambi i genitori, al rispetto della vita familiare, alla libertà religiosa e al rispetto delle convinzioni filosofiche e religiose dei genitori nella sfera dell’educazione, sanciti nella Costituzione e nella Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali.
Ricordiamoci che un genitore resta tale indipendentemente dal culto religioso che sceglie: un figlio è per sempre, finché morte non vi separi.