Come scrisse Aristotele, l’uomo è un animale sociale: ma tutti gli animali, se costretti a condividere uno spazio ristretto, possono sviluppare aggressività. Compreso l’uomo. E la vita di condominio lo mette duramente alla prova.
L’A.N.AMM.I. ossia l’Associazione Nazional-europea AMMinistratori d’Immobili ha stilato una classifica delle principali ragioni per cui si litiga tra condomini: dagli odori sgradevoli al parcheggio fuori dal proprio posto, dalle urla dei bambini al cane che abbaia, dal rumore dei tacchi a tutte le ore all’acqua dei vasi innaffiati che gocciola sul terrazzo sottostante, dai mozziconi di sigaretta alla tovaglia sbattuta nel cortile.
Fin qui siamo nell’ambito delle tradizionali dispute connesse con la convivenza, risolvibili, in mancanza di buona educazione, con l’intervento dell’amministratore di condominio. Anche se ricordiamo che potrebbero integrare alcuni tipi di reato quali disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone ex art. 659 c.p. e getto pericoloso di cose ex art. 674 c.p. Quando invece i comportamenti molesti superano il limite ed assumono la caratteristica di veri e propri atti persecutori, ci troviamo in presenza di un altro reato: lo stalking, previsto dall’art. 612 bis c.p.
Questo termine, che deriva dall’inglese “to stalk” ossia appostarsi, nell’uso comune è associato a comportamenti che attengono alla sfera affettiva: le vittime, quasi sempre donne, sono oggetto di attenzioni morbose se non addirittura violente da parte dell’ex compagno o marito.
Ma con la sentenza n. 26878 del 30 giugno 2016 la Corte di Cassazione ha consacrato l’esistenza di una nuova fattispecie di stalking, quello condominiale. La vicenda riguardava un cittadino romano, esasperato dal proprio vicino tanto da assentarsi dal lavoro ed assumere sonniferi e tranquillanti. Una situazione ben diversa da una semplice lite. Infatti il reato sussiste solo se le azioni moleste e persecutorie causano nella vittima un grave stato di ansia e paura tale da compromettere il normale svolgimento di azioni quotidiane oltre al timore fondato per l’incolumità propria o di un familiare ed al cambiamento delle proprie abitudini di vita.
Alcuni esempi? Avvelenare l’animale domestico, pedinare la vittima, gettare liquidi scivolosi davanti alla sua porta, farle appostamenti e minacciarla, danneggiarne i beni come ad esempio l’auto, diffamarla ed offenderla all’interno del condominio o sui social network, vessarla con telefonate mute, scampanellate e rumori molesti. Lo stalking può scattare anche se non c’è reiterazione, basta la presenza di un intento persecutorio: due soli episodi sono sufficienti se danneggiano la vittima esasperandola in modo grave e costringendola a mutare radicalmente il proprio modus vivendi.
Inoltre le sole accuse mosse dal soggetto perseguitato, se valutate dal giudice credibili ed attendibili, valgono a far condannare lo stalker, senza bisogno assoluto di testimoni o prove fisiche, che però è sempre meglio produrre per evitare una contro denuncia per calunnia.
Ma come ci si può difendere? La prima cosa da fare è rivolgersi direttamente al persecutore per invitarlo a mettere fine ai suoi comportamenti molesti, coinvolgendo anche l’amministratore di condominio. Se questo non basta, la vittima può presentare un’apposita richiesta di ammonimento al Questore che, se la ritiene fondata, emette un decreto di ammonimento orale nei confronti dello stalker.
Come ultima spiaggia c’è la querela, che può essere esposta entro 6 mesi dai fatti incriminati. Il Tribunale, accertata la responsabilità penale dell’imputato, può emettere nei suoi confronti un’ordinanza restrittiva che gli impone di lasciare la propria abitazione e di non avvicinarsi oltre i 500 metri al condominio per un determinato periodo di tempo.