Anche nelle famiglie “alla Mulino Bianco” i genitori possono avere opinioni diverse per quanto riguarda la crescita e l’educazione dei figli: la scuola, lo sport, i viaggi all’estero, l’orario del coprifuoco, il motorino, le vacanze. Ma trovano una soluzione, in armonia. 

Quando una coppia si separa e l’armonia non c’è più, la situazione si complica e la questione delle spese per il mantenimento dei figli è spesso fonte di litigi e discussioni tra gli ex coniugi. Innanzitutto non è facile distinguere tra spese ordinarie, che rientrano quindi nell’assegno di mantenimento e spese straordinarie, che entrambi i genitori sostengono al 50%. La legge non dà una definizione precisa e ci si affida perciò alla giurisprudenza, che negli anni ha cambiato orientamento. 

Mentre in passato occorreva tassativamente l’accordo tra i genitori prima di effettuare una qualunque spesa straordinaria e chi pretendeva il rimborso aveva anche l’onere di provare di aver precedentemente consultato l’ex coniuge, le pronunce recenti hanno stabilito diversamente. Se si tratta di spese sostenute nell’interesse dei figli e quindi necessarie, il genitore affidatario non ha alcun obbligo di informazione e di concertazione preventiva con l’altro genitore, che ha perciò l’obbligo di rimborso qualora non abbia tempestivamente addotto validi motivi di dissenso. Nel caso in cui quest’ultimo rifiuti il rimborso, il giudice è tenuto a verificare se la spesa effettuata è effettivamente nell’interesse del minore ed è necessaria, valutandone e misurandone l’entità rispetto alla sua utilità e alla condizione economica dei genitori.                                                                              

Dalla giurisprudenza risulta che esistono quindi due tipologie di spese straordinarie: a) quelle che non vanno previamente concordate, talmente urgenti e indifferibili da non consentire un previo accordo; b) quelle che vanno previamente concordate e che per essere rimborsate richiedono la prova dell’ottenuto consenso all’esborso.

La sentenza di cui ci occupiamo oggi, la n. 17127/2016 del Tribunale di Roma, rientra in questa seconda categoria. Un papà deve rimborsare l’ex moglie delle spese effettuate per le lezioni di equitazione ed i concorsi ippici della figlia oltre che per i corsi di ginnastica artistica, ma si oppone prima al pagamento e poi al decreto ingiuntivo ottenuto dalla madre. Il motivo? Lui sostiene di non aver dato il consenso allo svolgimento di queste attività da parte della figlia. 

Essendo questa una tipologia di spese non urgente né necessaria, per ottenere il rimborso occorre il consenso preventivo tra i genitori, in mancanza del quale si perde il diritto a vedersi restituita la metà della somma. E questo è ciò che sostiene il padre. 

Ma per il Tribunale romano non è così: il consenso del padre è implicito poiché non solo non ha mai comunicato alla ex moglie la sua opposizione a tale costoso sport, ma, pubblicando con orgoglio e soddisfazione le foto delle gare della figlia sui social network, dimostra di approvare ed accettare consapevolmente che lei svolga tale attività a livello agonistico. Diversa è invece la sorte delle spese per i corsi di ginnastica artistica, che il padre non ha mai approvato né esplicitamente né implicitamente: essendo queste di ammontare ridotto dato che lo sport è svolto a livello dilettantistico e mancando l’accordo, restano di sola competenza della madre.