Un professore minaccia un alunno di squarciarlo e gli mostra il coltello: tutto si risolve con una risata, ma l’uomo è accusato del reato di minaccia aggravata. È colpevole? La Corte di Cassazione dice di sì, dato che gli estremi del reato, individuabili nel caso di specie, sono: a) idoneità della minaccia a cagionare effetti intimidatori sul soggetto passivo, anche se non si verifica concretamente uno stato di intimidazione; b) limitazione della libertà psichica del soggetto passivo mediante la prospettazione di un danno ingiusto; c) cosciente volontà del soggetto attivo di minacciare un male ingiusto; d) presenza di un’arma come aggravante.

Vediamo i dettagli del caso. Durante l’interrogazione di una compagna di classe, un ragazzo disturba ed il professore, infastidito da questo comportamento, lo minaccia dicendo: “stai zitto o ti squarcio”. Il ragazzo allora risponde: “se ha il coltello, lo faccia” al che l’uomo estrae un coltello a serramanico, lo apre e glielo mostra. Il ragazzo spaventato informa subito la preside dell’accaduto. 

Il professore, ritenuto responsabile del reato di minaccia di morte, sostenendo che in appello non si era tenuto in considerazione che lui avesse detto “ti sguincio” e non “ti squarcio”, che il coltello fosse stato estratto in modo scherzoso perché sollecitato dal ragazzo e che tutto si fosse risolto in una risata generale, ricorre in Cassazione. La Suprema Corte però rigetta il ricorso. 

Perché? Ai fini dell’integrazione del reato di minaccia è sufficiente che vi sia una condotta idonea ad incutere timore nel soggetto passivo, anche se tale turbamento non si verifica in concreto. E minacciare qualcuno con un coltello è potenzialmente in grado di incidere sulla sua libertà psichica oltre che rientra nelle aggravanti previste.                                                                                                                                                                                

Non è la prima pronuncia in tal senso per gli ermellini, che già in passato hanno ritenuto integrato il reato di minaccia in casi simili: in una classica lite tra due uomini, uno dice all’altro “te la faccio pagare” e gli punta il dito contro (sentenza n. 44893/2015); un uomo beccato fuori dagli arresti domiciliari, mimando il gesto della pistola, la punta alla tempia del poliziotto e fa “bang!” (sentenza n. 25165/2015); una telefonata in piena notte in cui si dice “morirai tra sette giorni”, anche se ricondotta ad uno scherzo telefonico di un minore (sentenza n.25572/2014); una frase infelice tipo “lei non sa chi sono io..” (sentenza n. 11621/2012). E si potrebbe andare avanti. 

Stiamo molto attenti a quello che diciamo e facciamo perché qualsiasi condotta idonea ad intimidire una persona normale e a limitarne la libertà psichica prospettando un danno ingiusto si configura come minaccia. E come tale viene punita.