I toni accesi di una contestazione al datore di lavoro può rendere legittimo il licenziamento del lavoratore.
Nel caso di specie il soggetto durante una discussione con l’amministratore della società proferiva allo stesso le frasi “io ti distruggo”, “ti spacco il fondoschiena”…
L’uomo veniva immediatamente licenziato e, in ragione di ciò, egli proponeva ricorso.
Il Tribunale di primo grado confermava le ragioni dell’uomo, dichiarava illegittimo il licenziamento e condannava la società al risarcimento del danno.
Al contrario la Corte d’Appello, sollecitata dall’impugnazione di entrambi, giungeva ad opposte conclusioni poiché riteneva che la condotta offensiva del lavoratore integrasse gli estremi dell’insubordinazione e dell’offesa tali da minare l’elemento fiduciario del rapporto di lavoro e il dovere di diligenza.
La Corte inoltre riteneva che tale condotta integrasse i casi in cui è possibile applicare la sanzione disciplinare del licenziamento in tronco prevista all’articolo 100, comma 3, lettera a), del contratto collettivo di categoria.
Il lavoratore, all’esito della pronuncia d’appello, proponeva ricorso per Cassazione sostenendo che la decisione si fosse basata esclusivamente sulle testimonianze del fratello e del figlio dell’amministratore della società senza considerarne la capacità e l’attendibilità nella testimonianza.
Egli inoltre lamentava che la Corte d’Appello non avesse considerato la sproporzione tra il comportamento tenuto e la sanzione ricevuta.
La Suprema Corte, dopo aver valutato i motivi di impugnazione, rigettava il ricorso ritenendolo infondato.
In primo luogo la Corte di Cassazione stabiliva che la valutazione dell’attendibilità delle testimonianze rese dai familiari dell’amministratore non potesse essere effettuata a priori ma si dovesse procedere ad un riscontro caso per caso da compiersi durante il giudizio.
“Quanto al primo motivo, non sussisteva in primo luogo alcuna incapacità a testimoniare in capo al socio della Società in virtù del legame con la società. E difatti da tempo questa Corte ha chiarito che ben possono essere assunti come testimoni, in una causa tra una società di capitali – che ha una personalità distinta da quella dei soci – ed un terzo i soci della società stessa, che non sono legittimati ad intervenire in giudizio.
Non sussiste inoltre con riguardo alle deposizioni rese dai parenti o dal coniuge di una delle parti alcun principio di necessaria inattendibilità connessa al vincolo di parentela o coniugale, siccome privo di riscontri nell’attuale ordinamento, considerato che l’attendibilità del teste legato da uno dei predetti vincoli non può essere esclusa aprioristicamente, in difetto di ulteriori elementi in base ai quali il .giudice del merito reputi inficiarne la credibilità, per la sola circostanza dell’esistenza di detti vincoli con le parti.
In secondo luogo, con riferimento all’asserita sproporzione tra il comportamento tenuto dal lavoratore e la sanzione ricevuta, secondo la Corte non sussiste poiché è già il contratto collettivo di categoria a sanzionare con il licenziamento in tronco i casi di insubordinazione e offesa.
Inoltre si ritiene legittimo quel licenziamento disciplinare conseguente a quei fatti che fanno venir meno il rapporto fiduciario tra lavoratore e datore di lavoro con riferimento alla natura e alla qualità del singolo rapporto di lavoro e alle specifiche mansioni del dipendente.
“In virtù di costante giurisprudenza di questa Suprema Corte, peraltro, per giustificare un licenziamento disciplinare i fatti addebitati devono rivestire il carattere di grave violazione degli obblighi del rapporto di lavoro, tale da lederne irrimediabilmente l’elemento fiduciario; la relativa valutazione deve essere operata con riferimento agli aspetti concreti afferenti alla natura e alla qualità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, al nocumento eventualmente arrecato, alla portata soggettiva dei fatti stessi, ossia alle circostanze del loro verificarsi, ai motivi e all’intensità dell’elemento intenzionale o di quello colposo”
La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di tali principi, in quanto la motivazione ha esaminato più aspetti, riguardando sia la condotta minacciosa ed ingiuriosa in sé, che il contesto dei rapporti nei quali si è inserita, che la valutazione nel codice disciplinare.
In tal senso, quindi, la motivazione non è censurabile sotto l’aspetto della violazione di legge, né del vizio di motivazione.”
E nel caso di specie la Corte di Cassazione ha ritenuto pienamente legittima la sanzione disciplinare comminata dal datore di lavoro, confermando quindi le valutazioni effettuate dalla Corte d’Appello che ha esaminato tutti gli aspetti del rapporto di lavoro e lo svolgimento dei fatti che hanno portato al licenziamento.
In conclusione, una condotta offensiva e minacciosa nei confronti del datore di lavoro può ben giustificare un licenziamento in tronco del lavoratore e le testimonianze riguardo l’accaduto possono essere rese anche da familiare o soci del datore che erano presenti al momento dei fatti.