Un dipendente creava un falso account email per inviare in forma anonima ai colleghi contenuti diffamatori nei confronti dei dirigenti dell’azienda.
Una volta scoperto vendita licenziato adducendo come giusta causa il venir meno del rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore.
Il dipendente presentava reclamo ma sia il tribunale che la Corte d’Appello rigettavano le sue doglianze.
Egli sosteneva di aver scritto quelle mail perché i suo i dirigenti in passato avevano fatto circolare voci diffamatorie nei suoi confronti e lui così si era vendicato.
Ma di queste diffamazioni suo suo conto egli non aveva dato prova in processo, lasciando queste affermazioni come lettera morta.
Eppure invocava a sua discolpa l’esimente prevista dall’articolo 599 del Codice Penale che prevede una diminuzione di responsabilità quando si agisce sotto provocazione altrui ossia come reazione dettata dall’ira per aver subito un fatto ingiusto.
Tale tesi difensiva tuttavia non trovava accoglimento alcuno…
Si vedeva così costretto a rivolgere le proprie istante innanzi la Corte di Cassazione che, con sentenza n° 18404 del 20 settembre 2016, rigettava anch’essa il ricorso per le seguenti motivazioni:
“Il fatto oggetto di contestazione disciplinare è stato accertato e poi correttamente inquadrato come giusta causa in quanto integrante una diffamazione nei confronti dei superiori dell’odierno ricorrente.
Quanto all’irrimediabile lesione del vincolo fiduciario tra le parti, nel caso concreto essa è stata adeguatamente motivata in ragione del coefficiente doloso e delle modalità usate (scritto anonimo e creazione di un falso mittente) per diffondere il messaggio di posta elettronica ritenuto diffamatorio.
Infine, in ordine, all’invocata esimente di cui all’art. 599 c.p. (comma 2) per avere il ricorrente agiterò nello stato d’ira determinato dall’altrui fatto ingiusto, consistente nelle voci diffamatorie ai suoi danni diffuse all’interno dell’azienda dai suoi dirigente che a loro volta erano stati poi diffamati dalla e-mail del dipendente, la censura si rivela non accoglibile per l’assorbente rilievo che, a monte, l’ingiusta condotta che l’imputato rimprovera ai suddetti dirigenti aziendali non è rimasta provata”.
I Giudici della Suprema Corte sono stati chiari:
– Le mail inviate dal lavoratore erano a contenuto diffamatorio
– L’aver creato un account di posta falso e aver mandato mail anonime ha rotto il vincolo fiduciario che caratterizza un rapporto di lavoro
– E non vi era prova delle precedenti diffamazioni dei dirigenti a suo danno
Diverso sarebbe stato se il lavoratore, anziché agire in modo anonimo, avesse sporto formale reclamo all’interno dell’azienda o avesse portato in giudizio, con prove alla mano, i propri dirigenti per le diffamazioni ricevute. In quel caso sarebbe stato differente, così invece il licenziamento rientra nella giusta causa…