Una casa nuova, una coppia pronta al trasferimento e il marito che improvvisamente decide di andarsene portandosi via le chiavi del nuovo appartamento prima del trasferimento… Anche se la famiglia era in procinto di entrare nella nuova abitazione, questa non può essere assegnata all’ex moglie.
Affinché la casa coniugale sia assegnata al coniuge presso cui sono collocati i figli minori, tale abitazione dev’essere adibita a casa familiare e devono averci vissuto i componenti della famiglia.
La ratio dell’assegnazione della casa coniugale risiede nel fatto di far sì che i figli minori continuino a vivere nell’ambiente in cui sono cresciuti, evitando che uno spostamento in una diversa abitazione possa arrecare loro pregiudizio nello sviluppo psico-fisico, unitamente alla separazione dei loro genitori.
Nel caso di specie, invece, il nuovo appartamento era di proprietà esclusiva dell’uomo e la famiglia non vi si era in alcun modo trasferita per cui i minori non hanno mai vissuto in tale abitazione e non vi era alcun interesse in loro futuro trasferimento.
Il Tribunale di primo grado aveva dichiarato la separazione fra i coniugi affidando la figlia minore ad entrambi i genitori e disponendone la collocazione presso la madre alla quale veniva assegnata la casa familiare in cui avevano vissuto sino a quel momento, fissando altresì l’importo dell’assegno di mantenimento per la donna e la minore in 2mila Euro mensile.
La donna impugnava la pronuncia suddetta sostenendo come la casa familiare di cui era necessaria l’assegnazione quella nuova nella quale l’intera famiglia era in procinto di trasferirsi.
La Corte d’Appello tuttavia respingeva il ricorso e, a seguito di ciò, la donna proponeva ricorso per Cassazione.
La Suprema Corte, con pronuncia n 22581 depositata in data 4 novembre 2015, stabiliva l’infondatezza del ricorso e contemporaneamente rigettava la domanda giudiziale della donna stabilendo che:
“Il rigetto della domanda di assegnazione della casa di proprietà esclusiva del marito, che pacificamente non è mai stata adibita ad abitazione del nucleo familiare, è coerente alla giurisprudenza di legittimità secondo cui l’assegnazione della casa familiare prevista dall’art. 155 quater cod. civ., rispondendo all’esigenza di conservare l’habitat domestico, inteso come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare, è consentita unicamente con riguardo a quell’immobile che abbia costituito il centro di aggregazione della famiglia durante la convivenza, con esclusione di ogni altro immobile di cui i coniugi avessero la disponibilità”.
Pertanto la Suprema Corte ha affermato che può essere assegnata solamente la casa in cui la famiglia ha effettivamente risieduto in quanto l’assegnazione ha lo scopo di mantenere al minore lo stesso habitat domestico e permettergli di continuare a crescere nel suo ambiente familiare.
Alla luce di ciò, la pretesa della donna di vedersi assegnato il nuovo appartamento in cui stavano per trasferirsi ha trovato rigetto in ogni sede giudiziale.