“La piena ed effettiva realizzazione del diritto all’identità personale, che nel nome trova il suo primo ed immediato riscontro, impone l’affermazione del diritto del figlio ad essere identificato, sin dalla nascita, attraverso l’attribuzione del cognome di entrambi i genitori.”
Con queste parole si è espressa la Corte Costituzionale nella recente sentenza n° 286 dell’8 novembre 2016. Una svolta di notevole importanza, segno dell’adeguamento della giurisprudenza delle Supreme Corti all’evoluzione del comune sentire.
Il caso riguardava la decisione di una coppia di genitori residenti a Genova decisi ad attribuire al proprio figlio al momento della nascita anche il cognome materno. La loro richiesta veniva rigettata dall’Ufficiale di Stato Civile e la coppia si rivolgeva al Tribunale Ordinario della loro città che respingeva il ricorso e li portava ad impugnare la decisione avanti alla Corte d’Appello che, in un secondo momento, sollevava questione di legittimità costituzionale della norma che prevedeva l’attribuzione al nascituro del solo cognome paterno.
La Corte Costituzionale si è espressa in maniera univoca e precisa stabilendo la contrarietà alla Costituzione degli articoli 237, 262 e 299 del Codice Civile e dell’articolo 72 dell’Ordinamento dello stato civile laddove non consente ai coniugi, di comune accordo, di trasmettere ai figli, al momento della nascita, anche il cognome materno.
L’attribuzione del solo cognome paterno non solo è contrario al principio di uguaglianza morale e giuridica tra i coniugi, ma pregiudica altresì il diritto all’identità personale del minore provocando un’irragionevole disparità di trattamento. Il cognome è riconosciuto come un autonomo segno distintivo dell’identità personale, nonché tratto essenziale della personalità dell’individuo. Oltretutto, l’unità familiare si raggiunge solo con una piena realizzazione dell’eguaglianza tra le parti, condizione irrealizzabile se non viene concesso alla madre di poter trasmettere anche il suo cognome, sempre laddove vi sia consenso tra i coniugi.
Già nel 2006 la Consulta aveva definito il sistema di attribuzione del cognome come un “mero retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico, e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’eguaglianza tra uomo e donna”.
Ci troviamo di fronte ad una svolta storica e rispettosa dei diritti delle donne e dei minori. Attualmente il disegno di legge sulla possibilità di attribuire al nascituro il doppio cognome è fermo alla Commissione Giustizia del Senato dopo esser stato approvato nel 2014 dalla Camera dei Deputati. Si auspica che in tempi ragionevoli il Parlamento provveda alla rettifica del nostro sistema di attribuzione del cognome in modo che sia adeguato all’attuale concezione e porti una concreta parità genitoriale.