L’insegnante offensiva e minatoria commette il reato di abuso dei mezzi di correzione.
I racconti della severità della scuola pubblica e privata fatta dai nostri nonni rimarrà il ricordo di un’Italia molto rigida nell’istruzione e i film in bianco e nero ci aiutano a non dimenticare quanto erano ricorrenti i castighi per gli alunni indisciplinati e le bacchettate sulle mani per quelli più irrequieti.
Tuttavia il Paese è cambiato e i costumi si sono evoluti. Nel bene o nel male certe forme di severità non sono più ammesse nei nostri Istituti, ed il reato di abuso di mezzi di correzione può manifestarsi in varie forme che passano attraverso la minaccia e l’offesa.
L’art. 571 del nostro Codice Penale indica chiaramente che:
“Chiunque abusa dei mezzi di correzione o di disciplina in danno di una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovvero per l’esercizio di una professione o un’arte, è punito, se dal fatto deriva il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente, con la reclusione fino a sei mesi”.
Tale reato di configura allorché il soggetto titolare di un potere di educazione e correzione, come un insegnante ad esempio, ne superi volontariamente i limiti ponendolo in essere condotte inadeguate o sproporzionate tali da generare nella vittima delle conseguenze fisiche o psichiche, ricomprendendo tanto i postumi di percosse o lesioni quanto stati di ansia o timore scatenati da un comportamento minatorio scatena.
Nel caso di specie una maestra di inglese di una scuola media manteneva comportamenti aggressivi ed offensivi nei confronti dei propri alunni che si erano lamentati di queste vessazioni col dirigente scolastico e ne avevano conseguimento addirittura un maggior inasprimento del comportamento della docente la quale li aveva altresì obbligati, con la minaccia di bocciarli e farli finire in carcere, a scrivere una lettera di ritrattazione da inviare allo stesso destinatario.
La Corte di Cassazione, con sentenza n° 47543/2015, ha affermato che:
“integra il reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina il comportamento dell’insegnante che umili, svaluti, denigri o violenti psicologicamente un alunno causandogli pericoli per la salute, atteso che, in ambito scolastico, il potere educativo o disciplinare deve sempre essere esercitato con mezzi consentiti e proporzionati alla gravità del comportamento deviante del minore, senza superare i limiti previsti dall’ordinamento o consistere in trattamenti afflittivi dell’altrui personalità”.
Nonostante l’insegnante abbia replicato che il suo comportamento non fosse stato abituale e che la sua attività didattica fosse ineccepibile, la Suprema Corte ha riconosciuto integrato il reato e non lo ha ritenuto di particolare tenuità.
Anzi, le numerose testimonianze degli alunni che hanno raccontato le numerose offese, umiliazioni e minacce alle quali sono stati sottoposti hanno corroborato l’impianto probatorio e mostrato come il comportamento della docente non fosse un caso isolato di esaurimento nervoso bensì un atteggiamento abituale e reiterato che ha riguardato uno svariato numero di studenti.
Il principio cardine affermato da tale pronuncia risiede nella liceità del potere educativo e disciplinare in capo all’insegnante solo ove si manifesti con mezzi adeguati e proporzionati che non possono mai consistere in minacce di bocciatura, in umiliazioni, in costrizioni.