Antefatto: commessa bolognese durante la pausa pranzo con le colleghe colora il suo parlare con un gran numero di parolacce…

Esito: Licenziamento per giusta causa

Impugnazione: senza esito fruttuoso, neppure in Cassazione!

In breve vi abbiamo esposto cos’è successo, adesso vogliamo dirvi quali sono stati i motivi addotti dalla lavoratrice per far apparire come illegittimo il provvedimento preso nei suoi confronti.

La commessa licenziata sosteneva di non aver trasgredito a nessun ordine o prescrizione inerente il suo lavoro che, pertanto, è sempre stato impeccabile.

Sosteneva che non vi era stata alcuna lesione del vincolo fiduciario intercorrente tra datore e lavoratore.

Oltretutto sosteneva che non si potesse imporre ai dipendenti, durante la pausa pranzo, di adoperare un linguaggio tipico della propria cultura, appartenenza e classe sociale e lo faceva con le seguenti parole:

“… si deve escludere che nel comportamento della lavoratrice possa essere ravvisata una scarsa inclinazione ad attuare gli obblighi assunti, non potendo pretendersi che ai lavoratori dipendenti nei momenti della pausa di lavoro sia inibito un linguaggio adoperato normalmente da persone della stessa estrazione sociale, della stessa cultura e accomunate da familiarità che subentra in conseguenza di un lavoro quotidiano in uno spazio ristretto dell’azienda in cui operano”.

A nulla sonno valse le doglianze della donna, il licenziamento era legittimo e per giusta causa, il vincolo fiduciario si era inevitabilmente rotto e i Giudici di merito e di legittimità non hanno fatto altro che prendere atto della situazione.

Per maggiori riferimenti: Corte di Cassazione, sentenza n° 3380/2017